Rassegna 2006/2007
Mosca
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A.A. 2006/2007 Giornata di studi
Introdotta da Gian Piero Piretto -
19 Febbraio 2007
ore 12:30 in aula T9
Presentazione
La proiezione è introdotta da Gian Piero Piretto.
Note introduttive
Il regista è oggi citato come enfant terribile del cinema sovietico. Al di là delle etichette, la sua posizione rientra in un filone di particolare interesse e originalità nell’ambito della storia culturale sovietica. Parecchi artisti e intellettuali, senza affatto toccare le corde di ciò che sarebbe stato definito dissenso, o senza la minima intenzione di minare o attaccare il potere sovietico, avrebbero creato testi artistici che la censura, con le motivazioni più disparate, avrebbe bollato e di cui non avrebbe permesso la circolazione.
Protagonisti di queste operazioni sarebbero stati musicisti, scrittori, pittori, registi, teatrali e cinematografici. La buona fede, addirittura la manifesta intenzione di produrre un’opera che rispondesse alle esigenze del discorso del momento o che perfino offrisse un contributo anche ideologico alla causa, non trovava riscontro nel canone o sfuggiva per spirito, approccio, sensibilità a quelli che erano i dettami dei tempi. Spesso lo stile, la forma, gli artifici usati mandavano in crisi il progetto e relegavano il testo in questione al destino di poločnyj, da scaffale, nome con cui il prodotto veniva archiviato (fortunatamente non distrutto) e da cui solo fenomeni quali il disgelo, la perestrojka o più radicalmente il crollo dell’URSS li avrebbero riscattati.
Il film Novaja Moskva si inserì nel discorso della riprogettazione della capitale sovietica fatto partire da Stalin all’inizio degli anni Trenta, ispirato e pensato in competizione all’analogo progetto hitleriano relativo alla costruzione di Germania, la nuova Berlino che si sarebbe dovuta estendere ben oltre i tradizionali confini metropolitani. Stalin indisse infiniti concorsi architettonici che produssero una miriade di progetti, la cui stragrande maggioranza non sarebbe mai stata realizzata. La vecchia Mosca delle cupole a cipolla e dei vicoli tortuosi avrebbe dovuto cedere il posto a piazze ampie, ad assi prospettici interminabili, a costruzioni monumentali, la cui funzione ricordava più enormi piedestalli per gigantesche statue che non autentici luoghi di lavoro, abitazione o servizio.
Medvedkin realizzò nel 1938 il suo contributo a questa causa. Il film, rispettando la consegna della leggerezza da commedia (nel russo del realismo socialista pesennost’, inconsistenza e ritmo coinvolgente da canzonetta di massa) narra la storia (esile e scontata) di un giovane ingegnere di provincia che arriva a Mosca per mostrare la realizzazione di un plastico (elemento più reale del reale nella politica socio-culturale staliniana) della nuova Mosca, appunto, immaginata e concretizzata ben prima della sua effettuale costruzione. La commedia non poteva prescindere da un paio di intrecci amorosi, da alcuni equivoci che movimentassero l’andamento della narrazione, ma la sua forza, e la sua disgrazia per i tempi, stette nelle maniere e nei registri con cui il regista affrontò istanze di fondamentale portata per l’epoca e momenti di comicità che sconfinavano nel grottesco e nell’irresistibilmente ironico. Due categorie che mal si combinavano alle esigenze dell’opera d’arte totalitaria, che prevedeva letture univoche, emozioni facili e condivisibili, abbassamento dei livelli strutturali e contenutistici; in una parola, il conclamato Kitsch totalitario.
Il leggendario allargamento della via centrale di Mosca, all’epoca Gor’kij, oggi tornata a chiamarsi Tverskaja, viene affrontato e risolto con insuperabile comicità, priva di qualsivoglia componente di celebrazione o trionfalismo, attraverso la scenetta che coinvolge due anziane signore che vedono Mosca muoversi e spostarsi al di là della loro finestra e che in preda al panico sono pronte a salvare il salvabile (nella fattispecie l’immancabile oggetto di culto-trash di quegli anni: il ficus di plastica che troneggiava in ogni appartamento) e abbandonare la casa. Ancora su questo stesso tono è la gag del pittore che non riesce a concludere il suo quadro perché sotto i suoi occhi le vecchie case e chiese vengono abbattute e da un momento all’altro il paesaggio muta e si trasforma. Tocco di classe di tutta la pellicola è il momento in cui, di fronte a un folto e scelto pubblico, il giovane ingegnere deve proiettare il filmato in cui ha visualizzato la Mosca del futuro. Il proiettore fa le bizze e il film parte a rovescio: chiese, cupole e casupole risorgono dal crollo degli avveniristici edifici. Il passato torna a dominare sul presente, tempo e storia recuperano i propri territori così violentemente messi alla prova dall’operato e dalla virtualità staliniana. A tamburo battente si blocca la macchina e si recupera l’andamento regolare, ma il gioco ormai è fatto.
Troppa disinvoltura, troppe possibilità di interpretazione, di lettura fra le righe, nonostante il finale, dopo che l’inghippo tecnico viene risolto, arrivi a presentare una Mosca avveniristica e splendida, in perfetta sintonia con i progetti staliniani, ma non sufficiente a far perdonare a Mevedkin il tempo e lo spazio dedicato agli equivoci e, soprattutto il linguaggio con cui aveva dimostrato di prediligere l’intrigante andamento del procedimento alla banale e scontata cerimonia del risultato. (G.P.P)
Bibliografia essenziale:
1) Buttafava Giovanni, Soavi licori, succhi amari e il riso rosso di Medvdedkin, in Grasso Aldo (a cura di), BN (L’irrealismo socialista), XXXIV, gennaio/febbraio 1973, 1/2, pp. 89-95.
Disponibile in rete: http://www.esamizdat.it/temi/buttafava1.htm
2) Widdis Emma, Alexander Medvedkin, I.B. Tauris, London and New York 2005.
Film in programma
![](https://docucity.unimi.it/wp-content/uploads/2012/04/mosca-105x70.jpg)
Novaja Moskva
di Aleksandr Medvedkin
Russia, 1938 (100 min)
Il film Novaja Moskva si inserisce nel discorso della riprogettazione della capitale sovietica...